giovedì 6 febbraio 2014

I racconti che valgono


Foto Livio Biloslavo

Ho avuto la fortuna di avere la nonna fino ai 37 anni. Una nonna speciale. Quando è volata via aveva 95 anni, ma era presente, fino all’ultimo. Autonoma e indipendente. Non aveva nemmeno i capelli d’argento. La sua data di nascita, il 1907, sapeva di antico. Dovevano ancora scoppiare due guerre mondiali. Nonna Antonietta raccontava gli eventi che erano rimasti incisi nel suo cuore, quelli in cui aveva provato le emozioni più forti. Dolori e soddisfazioni. Raccontava anche la sua quotidianità, quella della sua infanzia e quella della sua giovinezza. Un every-day-life così lontano dal nostro, così vicino nei suoi pensieri. Ripeteva i suoi racconti, ma il ritornare a quelle narrazioni, magari con le stesse parole, alla fine era rito. E il rito proprio perché ripetuto rappresenta una ricchezza e un’occasione. Già perché il risuonare delle parole diventa per l’ascoltatore, a pensarci bene, la possibilità che ci viene offerta per interiorizzare ciò che ci viene comunicato. La ripetizione è rassicurante nella sua immutabilità, ma è soprattutto strumento per lasciare traccia in noi. E l’insistere sulla stessa traccia crea il solco in cui cade il seme dell’esperienza. Così la vita di nonna Antonietta è germogliata nei miei pensieri. E rimangono ancora dentro di me i segni della sua saggezza, figli di una lunga vita vissuta. Le parole che i nonni raccontano sono generosità. Sono desiderio di condividere l’aurora della loro vita con chi ha ancora molte albe da vedere. E così è bello e arricchente sedersi accanto a loro per osservare insieme il tramonto. E, per rimanere in tema, quando la sera, stanca, vado a dormire e mi accoccolo sotto le lenzuola, mi sento proprio bene e dico: “questo è il posto dove si sta meglio”. Così come diceva mia nonna.

Tiziana Benedetti